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Purgatorio

Canto III / Terzo Canto / Canto 3°

La Divina Commedia di Dante Alighieri

Purgatorio - Canto III / Terzo Canto / Canto 3° - La Divina Commedia di Dante Alighieri
 
 

Purgatorio

CANTO III

Avvegna che la subitana fuga
dispergesse color per la campagna,
rivolti al monte ove ragion ne fruga,    3

i' mi ristrinsi a la fida compagna:
e come sare' io sanza lui corso?
chi m'avria tratto su per la montagna?    6

El mi parea da sé stesso rimorso:
o dignitosa coscienza e netta,
come t'è picciol fallo amaro morso!    9

Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
che l'onestade ad ogn'atto dismaga,
la mente mia, che prima era ristretta,    12

lo 'ntento rallargò, sì come vaga,
e diedi 'l viso mio incontr'al poggio
che 'nverso 'l ciel più alto si dislaga.    15

Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,
rotto m'era dinanzi a la figura,
ch'avea in me de' suoi raggi l'appoggio.    18

Io mi volsi dallato con paura
d'essere abbandonato, quand'io vidi
solo dinanzi a me la terra oscura;    21

e 'l mio conforto: «Perché pur diffidi?»,
a dir mi cominciò tutto rivolto;
«non credi tu me teco e ch'io ti guidi?    24

Vespero è già colà dov'è sepolto
lo corpo dentro al quale io facea ombra:
Napoli l'ha, e da Brandizio è tolto.    27

Ora, se innanzi a me nulla s'aombra,
non ti maravigliar più che d'i cieli
che l'uno a l'altro raggio non ingombra.    30

A sofferir tormenti, caldi e geli
simili corpi la Virtù dispone
che, come fa, non vuol ch'a noi si sveli.    33

Matto è chi spera che nostra ragione
possa trascorrer la infinita via
che tiene una sustanza in tre persone.    36

State contenti, umana gente, al quia;
ché se potuto aveste veder tutto,
mestier non era parturir Maria;    39

e disiar vedeste sanza frutto
tai che sarebbe lor disio quetato,
ch'etternalmente è dato lor per lutto:    42

io dico d'Aristotile e di Plato
e di molt'altri»; e qui chinò la fronte,
e più non disse, e rimase turbato.    45

Noi divenimmo intanto a piè del monte;
quivi trovammo la roccia sì erta,
che 'ndarno vi sarien le gambe pronte.    48

Tra Lerice e Turbìa la più diserta,
la più rotta ruina è una scala,
verso di quella, agevole e aperta.    51

«Or chi sa da qual man la costa cala»,
disse 'l maestro mio fermando 'l passo,
«sì che possa salir chi va sanz'ala?».    54

E mentre ch'e' tenendo 'l viso basso
essaminava del cammin la mente,
e io mirava suso intorno al sasso,    57

da man sinistra m'apparì una gente
d'anime, che movieno i piè ver' noi,
e non pareva, sì venian lente.    60

«Leva», diss'io, «maestro, li occhi tuoi:
ecco di qua chi ne darà consiglio,
se tu da te medesmo aver nol puoi».    63

Guardò allora, e con libero piglio
rispuose: «Andiamo in là, ch'ei vegnon piano;
e tu ferma la spene, dolce figlio».    66



Ancora era quel popol di lontano,
i' dico dopo i nostri mille passi,
quanto un buon gittator trarria con mano,    69

quando si strinser tutti ai duri massi
de l'alta ripa, e stetter fermi e stretti
com'a guardar, chi va dubbiando, stassi.    72

«O ben finiti, o già spiriti eletti»,
Virgilio incominciò, «per quella pace
ch'i' credo che per voi tutti s'aspetti,    75

ditene dove la montagna giace
sì che possibil sia l'andare in suso;
ché perder tempo a chi più sa più spiace».    78

Come le pecorelle escon del chiuso
a una, a due, a tre, e l'altre stanno
timidette atterrando l'occhio e 'l muso;    81

e ciò che fa la prima, e l'altre fanno,
addossandosi a lei, s'ella s'arresta,
semplici e quete, e lo 'mperché non sanno;    84

sì vid'io muovere a venir la testa
di quella mandra fortunata allotta,
pudica in faccia e ne l'andare onesta.    87

Come color dinanzi vider rotta
la luce in terra dal mio destro canto,
sì che l'ombra era da me a la grotta,    90

restaro, e trasser sé in dietro alquanto,
e tutti li altri che venieno appresso,
non sappiendo 'l perché, fenno altrettanto.    93

«Sanza vostra domanda io vi confesso
che questo è corpo uman che voi vedete;
per che 'l lume del sole in terra è fesso.    96

Non vi maravigliate, ma credete
che non sanza virtù che da ciel vegna
cerchi di soverchiar questa parete».    99

Così 'l maestro; e quella gente degna
«Tornate», disse, «intrate innanzi dunque»,
coi dossi de le man faccendo insegna.    102

E un di loro incominciò: «Chiunque
tu se', così andando, volgi 'l viso:
pon mente se di là mi vedesti unque».    105

Io mi volsi ver lui e guardail fiso:
biondo era e bello e di gentile aspetto,
ma l'un de' cigli un colpo avea diviso.    108

Quand'io mi fui umilmente disdetto
d'averlo visto mai, el disse: «Or vedi»;
e mostrommi una piaga a sommo 'l petto.    111

Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi,
nepote di Costanza imperadrice;
ond'io ti priego che, quando tu riedi,    114

vadi a mia bella figlia, genitrice
de l'onor di Cicilia e d'Aragona,
e dichi 'l vero a lei, s'altro si dice.    117

Poscia ch'io ebbi rotta la persona
di due punte mortali, io mi rendei,
piangendo, a quei che volontier perdona.    120

Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei.    123

Se 'l pastor di Cosenza, che a la caccia
di me fu messo per Clemente allora,
avesse in Dio ben letta questa faccia,    126

l'ossa del corpo mio sarieno ancora
in co del ponte presso a Benevento,
sotto la guardia de la grave mora.    129

Or le bagna la pioggia e move il vento
di fuor dal regno, quasi lungo 'l Verde,
dov'e' le trasmutò a lume spento.    132

Per lor maladizion sì non si perde,
che non possa tornar, l'etterno amore,
mentre che la speranza ha fior del verde.    135

Vero è che quale in contumacia more
di Santa Chiesa, ancor ch'al fin si penta,
star li convien da questa ripa in fore,    138

per ognun tempo ch'elli è stato, trenta,
in sua presunzion, se tal decreto
più corto per buon prieghi non diventa.    141

Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,
revelando a la mia buona Costanza
come m'hai visto, e anco esto divieto;    144

ché qui per quei di là molto s'avanza».

 
 
 
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